Inflazione novembre negli Usa a +6,8%: mai cosi’ alta dal 1982 Inflazione&variante peseranno su Banche Centrali questa settimana. Il Governo cinese punta alla “stabilita’” dopo un anno di restrizioni normative. Si moltiplicano i segnali di moderazione nei prezzi di petrolio e materie prime.
L’inflazione al consumo negli Stati Uniti e’ salita al +6,8% a novembre dal gia’ preoccupante +6,2% di ottobre, in linea con le stime degli analisti, e al livello piu’ elevato dal 1982. La variazione mensile è stata +0,8%, confermando che l’aumento dei prezzi “a monte” di materie prime e servizi (PPI) si deve ancora “trasferire” completamente a valle.
Anche l'inflazione “core”, quella calcolata “isolando” le componenti piu’ volatili di “cibo ed energia”, e’ salita dal +4,6 di ottobre al 4,9% di novembre. L’inflazione galoppante incidera’ sulle scelte della Federal Reserve (Banca Centrale Usa), che non puo’ piu’ ignorare i suoi possibili effetti negativi sulla crescita economica, per ora ancora molto forte, ma vulnerabile alla dinamica incontrollata dei prezzi.
Il suo Chairman, Jerome Powell, ha alla fine ammesso che il fenomeno inflativo non e’ "temporaneo", anticipando in qualche modo quelle che potrebbero essere le possibili mosse restrittive da parte del FOMC (Federal Open Market Committee) di questa settimana (Mercoledi’ 15).
Gli esiti possibili potrebbero essere l’accelerazione oltre i 15 mld/mese gia’ previsti degli stimoli monetari (“tapering”), se non addirittura i prossimi aumenti dei tassi di interesse, gia’ dalla primavera 2022.
Anche per l’Amministrazione Biden quello dell’inflazione e’ un problema spinoso, poiche’ l’aumento cosi’ rapido del costo della vita toglie capacita’ di spesa a molte famiglie americane e consenso elettorale al Presidente.
"L'aumento dei prezzi dei fattori produttivi e di quelli al consumo sta rallentando, anche se non così rapidamente come vorremmo", ha sostenuto Joe Biden, rimarcando come la crescita economica Usa sia più forte di quella di quasi tutti i Paesi, e che la disoccupazione sia praticamente tornata ai livelli “pre-pandemia”.
A sorpresa, dopo la pubblicazione dei dato di inflazione, venerdi’ 10 dicembre, i mercati azionari americani hanno reagito positivamente: Dow Jones +0,61%, S&P500 +0,95%, Nasdaq + 0,73%.
Piu’ negativo il bilancio borsistico europeo: Dax tedesco -0,1%, Ftse100 britannico -0,4%, Cac40 francese -0,3% e FtseMib italiano -0,4%. Questa settimana, oltre alla Federal Reserve, vede riunirsi la Banca Centrale Europea (BCE), la Bank of England e la Bank of Japan.
Ricordiamo che nell’ultimo meeting della BCE, la Presidente Christine Lagarde aveva prospettato tassi d'interesse invariati per l’intero 2022 e la conclusione del programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programm) alla sua scadenza naturale del marzo 2022.
Oltre all’inflazione, i mercati cercano di stimare il possibile impatto negativo del diffondersi della variante Omicron: Danimarca e Regno Unito , durante il weekend, hanno deciso di re-introdurre alcune misure di contenimento dei contagi, mentre quelche speranza viene da Pfizer e BioNTech, che hanno ribadito l’efficacia di una terza dose del loro vaccino anche contro la nuova variante.
Come accade da ormai lungo tempo, il comparto obbligazionario sembra imperturbabile a (quasi) tutto: lo spread tra Btp decennale italiano e l’omologo Bund tedeschi si ridmensiona stamane (ore 12.00 Cet) a 130 punti base, dai 135 di giovedi’ scorso, 9 dicembre, col rendimento del BTP sceso nuovamente sotto la soglia del +1%, a +0,94%.
Il balzo dell’inflazione negli Usa non scuote neppure i titoli del debito americano: il Treasury Note a dieci anni rende +1,48%, cioe’ quasi 6 punti di rendimento reale negativo!
Il prezzo del petrolio, reduce da un guadagno oltre il +7% della settimana scorsa (il piu’ ampio rialzo settimanale da agosto), oggi,13 dicembre, flette leggermente: il WTI (West Tesas Intermediate) scambia a 71,2 Dollari/barile, -0,7% (ore 14.00 CET).
La settimana e’ iniziata in recupero, con i listini Asiatici positivi: il CSI300 di Shanghai&Shenzen segna un rialzo del +1,2%. L’Hang Seng di Hong-Kong ha perso -0,2%, ma al suo interno il comparto “Tech” ha guadagnato +1,1%.
Le autorità cinesi, dopo un anno di incisiva attivita’ regolatoria, controlli, sanzioni, divieti e repressione degli accumuli di ricchezza individuale, sembrano ora decisi a tornare ad un approccio piu’ amichevole verso i giganti della “new economy” e, piu’ in generale, a dare “stabilita’” all’economia.
Il Nikkei di Tokyo è salito del +0,7% dopo la pubblicazione dell’indice Tankan calcolato dalla Banca del Giappone, risultato sui massimi dal 2018, pur con qualche cautela sulle previsioni a tre-sei mesi, salite a 14, da 13, sotto il consensus che indicava 19.
Indici europei mediamente in rialzo del +0,5% a fine mattinata, e futures su Wall Street in modesto rialzo, dopo il brillante recupero della scorsa settimana.
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